La palestra-cliente non paga? Il consulente protesta su Facebook!
Non è passato inosservato nei giorni scorsi ad amici e colleghi del mondo delle palestre, che frequentano gli “ambienti” digitali, lo sfogo di un noto consulente che, attraverso facebook, ha letteralmente protestato contro un noto club di fitness, reo, secondo la sua versione dei fatti, di aver usufruito delle sue prestazioni senza onorare il compenso pattuito.
Non uno ma ben tre post scritti probabilmente in preda alla rabbia che denunciavano l’accaduto e l’atteggiamento negligente dei titolari del club che, nonostante numerosi solleciti, di cui uno anche dell’avvocato, non si sarebbero degnati nemmeno di dare una risposta al consulente.
Il consulente c’è andato giù duro palesando letteralmente il nome del club attraverso un gioco di parole, minacciando di raccontare tutto alle riviste di settore ed ovviamente scatenando i commenti di numerosi amici e colleghi, ovviamente tutti a suo favore.
In generale non è il primo episodio di questo genere che accade e probabilmente nemmeno l’ultimo.
Purtroppo è sempre più diffusa, anche nel mondo del fitness, la malpractice delle aziende di lasciare indietro il pagamento degli emolumenti di quei fornitori non ritenuti fondamentali per la sopravvivenza dell’azienda, tra questi spesso i consulenti aziendali.
Fece scalpore lo scorso anno la protesta di un giovane web designer calabrese che, stanco di rincorrere il titolare dell’azienda a cui aveva fatto il sito internet senza ricevere il compenso pattuito, decise di impossessarsi della homepage del sito pubblicando una chiara denuncia di insoluto.
In internet molti, però, sostengono che il caso del web designer di Cosenza in realtà sia stato un esperimento di viral marketing mal riuscito.
Nel caso del consulente del fitness non c’è però traccia di esperimenti di marketing ma una palese denuncia ad una situazione divenuta secondo lui insostenibile.
Ma alcune domande nascono spontanee: è legale quello che ha scritto il consulente fitness? Vale la pena rischiare una bega legale per pochi migliaia di euro? Non bastava seguire il normale iter legale?
Da una recente sentenza della prima sezione penale della Cassazione si evince chiaramente che, chi parla male di una persona su Facebook, anche senza nominarla direttamente, ma indicando particolari che possano renderla identificabile, va incontro a una condanna per diffamazione.
L’episodio oggetto di sentenza riguardava il post scritto da un maresciallo del GdF che sul proprio profilo aveva insultato un collega senza nominarlo.
Secondo la Suprema Corte:
“è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone, indipendentemente dalla indicazione nominativa”
“Il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due”.
Voi cosa ne pensate?
Fitness Lab
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